Il mio prof di Musica delle medie

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Il Professore di musica entra in classe a testa bassa. Butta faldoni di registri, spartiti e riviste musicali sulla cattedra, sbuffa e ci guarda sfuocati.
“Oggi parliamo di Beethoven. Sinfonia numero 6. Pastorale”.
Con il suo passo pesante e sbilenco si avvicina al giradischi in dotazione all’aula di musica, una fonovaligia del Reader’s Digest. Prende un 33 giri e sfila il disco di vinile con cura, lo pulisce con un tampone di velluto, lo guarda di traverso verso la luce opaca dei finestroni zigrinati, alla ricerca di ulteriori granelli di polvere. Bofonchia, forse contro il giradischi, forse contro il provveditorato, il governo Andreotti, noi, non lo so, sembra che ce l’abbia perennemente con qualcuno.
Mette il disco sul piatto, fa partire il giradischi tirando indietro il braccio della testina, clac, appoggia con delicatezza estrema la puntina sul disco che gira. TocScraac… ruota la manopola del volume con decisione, in un tripudio di scariche elettrostatiche dal potenziometro impolverato, le nostre orecchie ferite rimangono stordite per alcuni istanti, finchè i suoni registrati dell’orchestra riescono ad avere la meglio sul rumore di fondo, e riempire la stanza di musica.
Una ventina di ragazzini di prima media degli anni ‘70 ora sono in un’aula chiusa di una scuola di provincia, fuori è freddo e nebbia. Un adulto, un dipendente statale con apparenti problemi di nevrosi, tramite un giradischi acusticamente ridicolo, si assume il compito di trasportarci tutti in un bosco lussureggiante dei primi anni dell’800, in una natura che si risveglia alla vita. Con la mano alzata in alto il Professore cattura ogni nostra attenzione, soffoca risolini, siamo dinnanzi a un direttore d’orchestra, a uno sciamano, al prete che ci attende con l’ostia in mano. Non c’è spazio per distrazioni, il Professore ci nomina ogni strumento dell’orchestra, nomi che non abbiamo mai sentito prima, come l’oboe, e come ogni suono rappresenti un ruscello, un cinguettio, il vento, la pioggia, il tuono, la rugiada.
E poi il nostro sgraziato, claudicante, sovrappeso Professore, danza. Danza, estaticamente trascinato dall’amore per la musica, ondeggia con le mani ad arco, ora misurato partner di una compagna invisibile, ora ballerino classico solista che prova i passi in camerino. Ad occhi chiusi, che riapre ogni tanto per offrirci qualche breve scintilla delle emozioni che lo devastano. Non posso parlare per gli altri, io lo ascolto ammirato, per quanto la situazione sia anche assolutamente a rischio delle nostre risate da ragazzini.
Alla fine del disco si abbatte stremato sulla sedia dietro la cattedra, scende il silenzio. Senza guardarci ci dice:

“Spero che vi sia piaciuto Beethoven. Fatene tesoro”.

 

(Il mio professore di musica delle medie era fratello di Don Giuseppe Borea, 1910-1945, martire della Resistenza Piacentina. A volte ce ne parlava in classe, con profondissima emozione. Sicuramente la perdita tragica, violenta ed ingiusta del fratello lo aveva segnato profondamente nell’animo. Quando ascolto della buona musica, e riesco ad apprezzarla, non posso non pensare al prof., e come ha cercato di farmi comprendere l’Arte per amarla.)

donboreaDon Giuseppe Borea
Parroco di Obolo in Val d’Arda (Piacenza), don Giuseppe fu arrestato per antifascismo nel 1942 e deferito al Tribunale speciale.
La caduta di Mussolini gli evitò il processo e gli valse la liberazione. Subito dopo l’armistizio, il sacerdote entrò nella Resistenza come cappellano della Divisione partigiana “Val d’Arda”, comandata dal colonnello Giuseppe Prati. Catturato dai fascisti il 27 gennaio 1945, don Borea fu condannato a morte e la sera del 9 febbraio fu messo al muro. Rifiutate la sedia e la benda, il cappellano perdonò i suoi carnefici e disse: “Offro la mia vita per la pace e la grandezza della Patria”, poi, toltosi il mantello, gridò: “Viva Gesù, Viva Maria, Viva l’Italia.” Colpito da otto pallottole, don Borea fu finito con un colpo alla nuca. Dopo l’assassinio i fascisti, insoddisfatti, si portarono alla canonica di Obolo con l’intenzione di eliminare anche don Riccardo Sala che la reggeva in luogo di don Borea. Fortunatamente non trovarono né il prete, né i suoi fratelli, Carlo e Camillo, entrambi partigiani.” Da: http://www.anpi.it

Per chi volesse approfondire trovate qui la ricerca fatta da alcuni studenti del Liceo Respighi di Piacenza – DOCPPT

 


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